Le passeggiate in bicicletta, quanta soddisfazione spingere sui pedali percorrendo le stradine interne tra i campi! Quando andavo alle elementari, la maestra ci faceva cantare “La Bella Tartaruga”, che chi, fortuna sua, è più giovane e non la conosce, potrà ascoltare a questo link. Per farla breve, la nostra tartaruga, che amava correre a tutto spiano, un bel giorno si andò a spiaccicare contro un muro. Nulla di grave, ma da questo accadimento decise di andare un po’ più piano. Ecco, il grazioso animaletto divenne il testimonial della vita slow, quella che permette di vedere cose che la velocità non lascia notare, di godere di paesaggi, particolari, di farsi domande trovando, o non trovando, un determinato aspetto in ciò che ti circonda. Così, come la Bella Tartaruga, quando la stagione e le ore di luce lo permettono, amo farmi una lunga pedalata in bici per raggiungere il lavoro. Son cinque chilometri e passa. Bisogna alzarsi prima, è vero, e sacrificare una mezz’ora di sonno, a volte si prende qualche innaffiata da un imprevisto acquazzone, ma quello che si guadagna è inestimabile. Sì, perché il territorio, mentre lo attraverso senza rumore, con la velocità oraria di massimo 15 km/h, mi parla della sua storia, del suo passato, delle vestigia di chi lo ha calpestato prima di me. E mi sembra di essere quasi un antico esploratore, cantato dai versi straordinari di Omero. Una faccia buffa disegnata su un dissuasore di cemento, un rudere abbandonato, un cartello manoscritto che intende sgrammaticalmente dissuadere i visitatori dall’avvicinarsi, tutto mi colpisce e mi induce a pensare e lasciar vagare la mente. Mentre i piedi pedalano la testa è libera di spaziare e di andare più lontano di quanto il mezzo a due ruote permetta.
Per me tutto è museo, anche i campi arati che mostrano le stratificazioni di generazioni di maggesi, una curva che delimita un’antica proprietà, il nome di una località dall’etimo vagamente latino. Mi disse una volta uno studioso di ecomusei (cosa che andava di moda alcuni anni fa e ora sembra svanita nel nulla, ma lo si sa che le mode vanno e vengono) che non solo quello che si trova nel territorio racconta le storie del passato, ma anche le mancanze. Se, ad esempio, non ci sono strade, o case, in una zona, se non ci sono piante e corsi d’acqua. Tutto ha un perché. Così facendo, in ogni pedalata raccolgo fastelli di storie incredibili, come quelle che ho pensato dopo aver visto questa installazione degna della Biennale di Venezia. Ora, a distanza di qualche giorno, il reggiseno è sparito, e anche questa è una misteriosa storia. Non importa se finirà o no in un libro. E io sono pronta per altre passeggiate in bicicletta.