Marcell Jacobs e quel figlio avvolto nella bandiera. Un qualcosa che ci ha inteneriti. Sarà che la pandemia ci ha resi più frolli, sarà che un bambino con gli occhi speranzosi fa vacillare anche la montagna più granitica. Le Olimpiadi non sono solo il territorio di un passato glorioso come quello di Mennea.
Jacobs corre con una potenza inaudita, ha la velocità di un’automobile tanto che si allena inseguendone una sulla pista. A Tokyo supera tutti gli avversari nei 100 metri e taglia il traguardo per primo.
Tamberi lo aspetta all’arrivo con il tricolore al collo e le braccia spalancate. Da lontano, anche il figlio Jeremy di sei anni, con la bandiera italiana come un mantello e negli occhi quella fiducia che solo un bimbo di sei anni può riporre in qualcosa, fa il tifo per il suo papà.
Marcell Jacobs e quel figlio avvolto nella bandiera non ce li scordiamo più. Jacobs, a quelle olimpiadi che rappresentano anche una rinascita incredibile dopo lo stop dovuto alla pandemia, è entrato nella leggenda e adesso è conosciuto da tutti, poiché ha riscritto la storia dello sport italiano, eccellendo in una disciplina in cui gli azzurri storicamente non hanno mai brillato.
Però c’è quel figlio che non vive con lui, che Jacobs stesso dice di aver abbandonato, esattamente come da tre generazioni accade nella sua famiglia.
Una famiglia in cui i padri sono avvezzi a lasciare i figli primogeniti. Jeremy, quel bimbo avuto da giovanissimo, nonostante tutto ama il suo papà e lo dimostra indossando per lui e per l’Italia intera quella bandiera tricolore, nel momento del trionfo.
Credo che questa vittoria, questo aver trepidato uniti in qualcosa, possa essere la molla per riunire un padre e un figlio. I figli sono capaci di grandi perdoni, e Jeremy non sarà da meno. Vederlo così, avvolgersi in una bandiera come nell’abbraccio di un padre, mi ha commosso più della vittoria di Jacobs. Cosa capiterà poi, quella è storia tutta da scrivere.