Il motivo di Potifar: la seduzione delusa di una donna matura verso un giovane può facilmente portare a una falsa accusa di violenza. Dopo aver parlato di amore e vecchiaia vorrei affrontare anche questo classico dei rapporti amorosi. Gli ingredienti sono sempre quelli. Abbiamo una donna di alto rango, abbiamo uno sposo e un bel giovane virtuoso. Accade che la donna, colpita dalla bellezza del fanciullo, tenti di sedurlo confidando nelle sue arti, nel suo fascino e nella sua lunga esperienza e che il giovane resiste alla tentazione spinto da un più potente sentimento di lealtà verso l’ignaro uomo di lei. E così… apriti cielo! La donna rifiutata diviene una belva feroce, sragiona e per vendetta non ha altro mezzo che inventare una storia squallida, una storia in cui si ribaltano i ruoli: è lei la vittima e il giovane un libidinoso stupratore. E finisce che lui, ingiustamente, viene punito, seppur innocente.
Una trama avvincente, forse un po’ misogina ma che comunque la letteratura, fin dalle proprie origini, ha utilizzato con vari condimenti, a partire da quella antichissima vicenda contenuta nella Bibbia (Genesi 39, 1-20) che narra del casto Giuseppe figlio di Giacobbe rovinato dalla moglie egiziana del suo amato padrone, Potifar, della quale ha rifiutato le lusinghe adulterine. La bella africana incarna la lussuria, il desiderio che è disposto anche a ingannare, a calunniare, mentre il giovane ebreo è un giglio di purezza, vittima senza macchia di cattive passioni. Quindi lo stratagemma descritto, che ricompare anche con numerose aggiunte e varianti in altre antiche tradizioni narrative, orientali o africane, fino a tornare nella più recente letteratura, prende il nome proprio dalla storia biblica ed è detto “Il motivo di Potifar” o Potiphar-Motiv. Si ricorda, nell’antichità, la favola egizia di Anpu e Bata, considerata una delle più remote e rinvenuta grazie a un papiro in scrittura ieratica. In poche parole Bata è un giovane servo che lavora al servizio del fratello Anubi. La moglie di Anubi prova a sedurre Bata, ma non ottiene il risultato sperato perciò, offesa, lo accusa di stupro e lo costringe alla fuga per evitare la morte, dopo che una vacca della sua mandria riesce a metterlo in guardia dal fratello Anubi che intende ucciderlo. Bata, per ribellarsi all’ingiustizia subita, si evira gettando il membro nel mare dove viene inghiottito da un pesce. La fiaba a questo punto si colora di magia e di un dedalo di fatti prodigiosi, portando al galoppo il lettore al fianco del protagonista, dopo tanti patimenti, verso un finale lieto per il povero servo che, morto, riuscirà a risorgere e trionfare.
Il motivo di Potifar è poi utilizzato con grande perizia e capacità personale da un grande scrittore di tragedie, il greco Euripide, nel suo Ippolito. Nell’opera, Fedra è un personaggio moderno, la sua anima è un campo di battaglia squassato da passioni diverse fra loro, tutta tesa fra l’amore e il dovere. Costei possiede la personalità di una donna dalla mente non lucida, combattuta e vinta, sola nella sua disperazione a tal punto da trovare un po’ di sfogo solo nella confessione alla nutrice. A volte intravvede la speranza, che fa l’altalena con una nera disperazione. In lei vive l’eterno conflitto tra ragione e passione. Nella tragedia greca, in ogni modo, tutti i personaggi sono alla fine parimenti sconfitti e l’amore e la vendetta di Fedra, la morte di Ippolito, la disperazione del padre Teseo sono tutti drammi allineati sullo stesso piano. Non vi è giudizio contro la donna, l’uditorio prova pietà per lei, soggiogata da una passione che non riesce a dominare e che la divora senza permetterle alternative. Cinque secoli dopo, Seneca scrive una Fedra in cui la donna diverrà protagonista assoluta, oscurerà gli altri personaggi e le loro scialbe tragedie e da lì in poi ci sarà nel tempo una schiera di Fedre narrate da autori anche grandi, che trova il suo apice nella Phèdre di Jean Racine (1677).
Nel 1601, un po’ prima di Racine, un gesuita, un certo Bernardino Stefanio, scrive in latino il Crispus, che prende il nome da Crispo, figlio dell’imperatore Costantino. In quest’opera Fedra torna dall’aldilà per insegnare alla seconda moglie di Costantino una illecita passione per il figliastro. In tempi recenti, Giorgio De Chirico dipinge, nel 1951 un celebre Ippolito, di cui negli anni seguenti elabora altre cinque versioni. Il XX secolo è dunque pieno di Fedre e di Ippoliti, sia recitati che operistici che immortalati su tela. E in tutte queste opere si alternano via via la simpatia e il distacco dall’eroina, considerata da alcuni sfortunata e preda di insana passione, da altri corrotta e degna di biasimo. Il perno è lei, l’amante non ricambiata, non più il giovane, come invece nella storia di Giuseppe dove la donna rappresentava solo un mezzo per mettere in risalto le buone virtù del ragazzo. in quel caso, la condanna non poteva essere che totale, assoluta. Per Fedra è diverso, le sfaccettature troppo umane della tragedia greca hanno ancora una volta sortito i loro effetti.
Anche La leggenda di Olaf, canzone di Roberto Vecchioni, narra la bella e struggente storia di un cavaliere che preferisce andarsene lontano, abbandonare tutto quello che ha conquistato, la gloria, la fiducia del sovrano, piuttosto che confessare la verità al suo re la cui moglie lo ha accusato di violenza. E per di più egli la ha sempre segretamente amata, gli costa dire quel no. Invece di un premio riceve un’accusa, l’esilio e per di più va a finir male. La verità viene a galla, però i cavalieri del re raggiungono il malcapitato nel suo esilio, gli offrono parecchio oro perché non parli e non si faccia più vedere. Vogliono comprare il suo silenzio. A questo punto il dolore da sopportare è troppo e il giovane preferisce darsi la morte, tuffarsi in un perenne sogno, in un mondo in cui valgono ancora qualcosa virtù e lealtà.
Sognò, sognò, sognò, sognò… ma questa volta non si svegliò…
Oggi appare davvero incredibile il rifiuto di un uomo a possedere una bella donna che gli si offre, ma, si sa, “Il motivo di Potifar” appartiene ad un tempo in cui le ragioni dell’onore erano più forti di tutto il resto, anche del sesso, dell’unione con una creatura bellissima.
In ogni caso, il triangolo, da che il mondo è stato creato, è sempre stato portatore di calamità. Anche per gli innocenti.