Pietro Mennea, quel tipo veloce per antonomasia, per noi ragazzi degli anni Ottanta era simbolo della rapidità.
A Mosca, nel 1980, oltre a Sara Simeoni, c’era anche lui, Mennea.
Ricordo la faccia simpatica di Pietro Mennea, veloce per antonomasia, il fisico smilzo. “Ma chi sei, Mennea?” si diceva a qualcuno che correva come il vento, senza fermarsi, con una incredibile resistenza. Pietro apparteneva a una famiglia semplice, del sud Italia, e alle superiori aveva frequentato ragioneria, ma non sapevo che nella sua vita si fosse preso quattro lauree, in Giurisprudenza, Lettere, Scienze politiche e Scienze motorie.
Tra poco quella vittoria compirà 30 anni. Era il 12 settembre 1979, un pomeriggio piovoso, quando a Mexico City “La freccia del sud” stabilì il record mondiale dei 200 metri percorrendoli in 19 secondi e 72. Un record che durò per 17 anni, poi superato da Usain Bolt. Rivedo la gioia in casa mia, quando in tv diedero la notizia del record, perché Mennea rappresentava un po’ tutti gli italiani, dava soddisfazione all’uomo comune, che di tali soddisfazioni certo nella sua vita non ne avrebbe mai avute.
Aveva una caratteristica: la sua era una partenza dai blocchi piuttosto lenta, ma poi cominciava ad accelerare e grazie alla sua resistenza manteneva il ritmo anche quando gli altri cominciavano ad essere stanchi, potendo raggiungere velocità quasi mitologiche.
Quella resistenza era dovuta a un allenamento serrato, neanche nei giorni di festa lo interrompeva. Quella di Pietro Mennea era una delle facce che, entrate nelle nostre case attraverso lo schermo televisivo, diventava un po’ parte della famiglia. Uno di quei volti noti, affabili, di uno venuto dal basso che ce l’aveva fatta. A soli 60 anni una malattia lo ha portato via, ma quella faccia solare e piena di vita continua a scaldare i cuori. E mi riporta un po’ all’infanzia.